TORINO

Lettera dei lavoratori Embraco a Mattarella: "391 persone da 4 anni stanno vivendo un incubo"

Durante la sua permanenza in Piemonte, il presidente ha visitato il nuovo palazzetto dello sport e il Serming, nel quartiere Aurora.

Lettera dei lavoratori Embraco a Mattarella: "391 persone da 4 anni stanno vivendo un incubo"
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Di: Ottavio Currà

In occasione della visita del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel Torinese, i lavoratori dell'ex Embraco di Riva di Chieri, gli hanno scritto una lettera per far conoscere lo stato d'animo e la difficile situazione che stanno vivendo, da quando il loro futuro è incerto. La lettera è stata consegnata da una delegazione dei lavoratori,  al nuovo prefetto di Torino, Raffaele Ruberto, indirizzata, come detto, al Capo dello Stato.

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La lettera

"Buongiorno Presidente,

siamo le lavoratrici ed i lavoratori dello stabilimento Embraco di Riva presso Chieri (TO), Cittadine e Cittadini di questo Nostro Paese: 391 persone che da quattro anni stanno vivendo l’incubo di essere vittime del furto del proprio lavoro.
La nostra è stata un’azienda storica del Torinese: all’inizio degli anni Settanta avviò la sua attività un grande stabilimento a Riva presso Chieri per la produzione di compressori per frigoriferi: gli Aspera. I compressori creati, progettati e prodotti sono così efficienti che la loro produzione continua fino al 1986, quando l’azienda viene ceduta al colosso americano Whirlpool, che la controlla attraverso la Embraco Europe srl. Il nostro stabilimento è sempre stato considerato, anche nelle parole dell’azienda, un’eccellenza del settore per capacità, conoscenza, professionalità e qualità.

Le logiche della delocalizzazione negli anni hanno visto la multinazionale trasferire progressivamente le produzioni in altri stabilimenti europei e asiatici, in particolare quello in Slovacchia, e i lavoratori da 2200 sono scesi a circa 1000 nel 2004. Alla fine del 2004 la proprietà manifestava la volontà di chiudere lo stabilimento, con la mobilitazione dei lavoratori e l’intervento delle Istituzioni, anche attraverso finanziamenti pubblici e l’utilizzo degli ammortizzatori sociali, si raggiunse un accordo il 10 febbraio 2005 che impegnava l’azienda a non attivare procedure di licenziamento unilaterali e a mantenere lo stabilimento con almeno 485 lavoratori fino al 31 gennaio 2011.

Nel 2010 si raggiunse un nuovo accordo, dove nuovamente attraverso finanziamenti dal Pubblico, utilizzo di ammortizzatori sociali e il taglio dei salari del 25%, l’azienda si impegnava in un piano industriale dal 2011 al 2015 a mantenere i livelli occupazionali (nel frattempo scesi a 618 lavoratori). Nel 2013 l’arrivo di un nuovo prodotto (il “Ves”) ha coinciso con lo spostamento di volumi sempre più significativi del prodotto più importante nei numeri (il cosiddetto “EM”) verso la Slovacchia e altri Paesi: la produzione, che nel 2012 era stata di 2.622.775 compressori, è scesa a 1.498.938 nel 2014 e da allora non è più sostanzialmente risalita. Anzi, da allora si è cominciato a utilizzare i contratti di solidarietà con una riduzione d’orario di più del 50%.

Il 26 ottobre 2017 l’azienda ci ha comunicato che i volumi previsti per il 2018 sarebbero scesi sotto il milione di compressori prodotti a Riva presso Chieri e che quindi, per le ore di lavoro necessarie, non avrebbe rinnovato i contratti di solidarietà in scadenza il 31 dicembre. Da quel giorno sono cominciate le nostre mobilitazioni e il coinvolgimento delle Istituzioni: la dichiarazione di volumi così bassi e la mancanza di ulteriori ammortizzatori sociali avrebbe portato a quello che poi si è avverato con la lettera del 10 gennaio 2018: l’azienda ha comunicato l’apertura della procedura di licenziamento collettivo per 497 lavoratrici e lavoratori “a causa della prossima e definitiva cessazione di ogni e qualsivoglia attività produttiva”.

Nei primi tre mesi del 2018 la mobilitazione dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali e delle istituzioni locali, insieme all’attenzione dei mass media, ha coinvolto tutti (siamo arrivati a incontrare il Presidente del Parlamento Europeo, Papa Francesco, oltre al Presidente del Senato e il Presidente del Consiglio di allora) ed è del 21 gennaio 2018 una lettera indirizzata a Lei Presidente.

È di marzo 2018 un accordo promosso dal Ministero dello Sviluppo Economico, sottoscritto anche dalla Embraco, per sospendere i licenziamenti e avviare un processo di reindustrializzazione del sito. Nei mesi successivi viene presentato dall’allora Ministro Carlo Calenda, oltre che nelle sedi istituzionali, anche in una assemblea in fabbrica con i lavoratori, il progetto. In quella assemblea il Ministro garantisce ai lavoratori che saranno tutelati anche nel caso in cui il progetto non fosse stato realizzato arrivando a sostenere che l’amministratore delegato di Invitalia Domenico Arcuri (anche lui presente all’assemblea) sarebbe diventato il loro datore di lavoro. Il progetto prevedeva, con il sostegno economico di capitali messi a disposizione da Whirpool, l’insediamento di una nuova società: la Ventures.

Questa nuova società si impegna ad assorbire tutti i lavoratori interessati e ad avviare nuove produzioni tecnologiche, in particolare di strumenti per la pulizia e la manutenzione dei pannelli fotovoltaici, a partire dal gennaio 2019.

Negli ultimi mesi del 2018 gli impianti per la produzione dei compressori Embraco vengono smantellati e spostati, ma dei nuovi impianti non vi è traccia. A gennaio e febbraio del 2019 lo stabilimento risulta vuoto e l’allarme si riaccende. A marzo si tiene un nuovo incontro al Ministero dello Sviluppo Economico, con i rappresentanti del Governo nato dopo le elezioni politiche del 2018. Viene denunciata la situazione dello stabilimento vuoto e del mancato inizio di nuove produzioni,
l’azienda convince il Governo che ha bisogno di più tempo e riceve ancora fiducia. Nei mesi successivi non accade nulla di quanto promesso al Mise, gli impianti nuovi non arrivano mai. Anche il previsto incontro al Ministero a inizio estate non viene mai convocato. Ad agosto nuovo cambio di Governo. A settembre ricominciano le mobilitazioni e le manifestazioni pubbliche, coinvolgendo nuovamente le istituzioni locali. Gli incontri al Mise dei mesi successivi, alla presenza anche del Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio e del sottosegretario Mise, Alessandra Todde, si risolvono sempre in un nulla di fatto: Ventures continua a sostenere verbalmente il proprio progetto, ma di nuove produzioni neppure l’ombra.

Nel frattempo parte delle risorse messe a disposizione da Whirpool per la reindustrializzazione sono consumate, in parte per le retribuzioni dei lavoratori richiamati (come previsto dall’accordo sottoscritto al Mise, ma impiegati unicamente in lavori di manutenzione del capannone) e in parte in modi non chiari: proprio per questi motivi la Procura della Repubblica di Torino, a seguito di esposti presentati a inizio 2020, apre un’indagine con ipotesi di bancarotta distruttiva. L’azione della magistratura porta, non appena si conclude la prima fase di emergenza pandemica, all’intervento del Tribunale di Torino che, a luglio 2020, dichiara il fallimento di Ventures. Si passa così alla fase di procedura concorsuale, e la Curatela fallimentare attiva la cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività per 12 mesi (scadenza luglio 2021).

A settembre 2020 il sottosegretario Alessandra Todde convoca le parti sociali e le istituzioni locali (saranno presenti il Presidente della Regione Piemonte, Alberto Cirio e la sindaca della Città di Torino, Chiara Appendino, oltre ad altri sindaci dei Comuni della provincia direttamente coinvolti) e presso il Palazzo del Governo di Torino, alla presenza del Prefetto, presenta un nuovo progetto di reindustrializzazione. Il piano, elaborato e presentato insieme a Maurizio Castro commissario straordinario dell’azienda ACC Wanbao di Mel in provincia di Belluno (azienda con oltre 300 lavoratori, attiva nella produzione ma con problemi di liquidità ereditati dalla gestion  della multinazionale cinese), prevedeva la costituzione del POLO ITALIANO DEI COMPRESSORI PER RIFRIGERAZIONE, unendo in una unica società, denominata ItalComp, le realtà torinesi e bellunesi.

Un progetto di politica industriale che doveva essere sostenuto in avvio dall’intervento pubblico nel capitale della nuova società dalle Istituzioni: dal Mise con Invitalia e dalle Regioni Piemonte e Veneto (attraverso rispettivamente Finpiemonte e Veneto Sviluppo) per un complessivo 70% di quote societarie e per il restante 30% da società private del settore dell’elettrodomestico (fornitori e costruttori). Queste società private, viene spiegato da coloro che presentano il progetto, avrebbero avuto interesse a intervenire, vista la dinamica di mercato del settore, in crescita anche nella pandemia, vista la quasi totale scomparsa di produzione di componentistica nel nostro Paese e più in generale in Europa dopo le politiche di delocalizzazione verso l’Asia degli scorsi decenni e le problematiche di fornitura che ne derivano, emerse con più forza proprio nell’ultimo periodo. Nei mesi successivi, gli ultimi del 2020, in diverse dichiarazioni pubbliche, in interventi ad eventi, in video diffusi sui social network, il sottosegretario Alessandra Todde e l’allora Ministro dello Sviluppo Economico, Stefano Patuanelli, comunicano come avviato il Piano. Ma da un punto di vista formale e attuativo non succede nulla, la nuova società non viene mai costituita. Si aspetta il via libera agli interventi di sostegno economico alle attività di ACC Wanbao, società che, nonostante l’aumento di fatturato e di commesse, si ritrova tra la fine del 2020 e l’inizio del 2021 in una crisi finanziaria sempre peggiore.

Interventi di sostegno che, nonostante siano previsti, non arriveranno mai e renderanno la situazione dello stabilimento bellunese a rischio di chiusura. Ad inizio 2021 vi è un nuovo cambio di Governo, e vi è un nuovo avvicendamento anche al dicastero dello sviluppo: viene nominato nuovo ministro Giancarlo Giorgetti. Immediatamente vengono fatte partire le richieste di convocazione del tavolo ItalComp, ma bisognerà aspettare, dopo mesi di proteste e manifestazioni a Torino e Belluno, fino al 23 aprile per avere un incontro in videoconferenza. In quell’incontro Alessandra Todde, la promotrice del progetto, diventata nel nuovo Governo Vice Ministro con delega alle crisi industriali, non fornisce indicazioni precise sulla realizzazione del piano. Sarà quello l’ultimo incontro tra le parti, nonostante le continue richieste inviate nei mesi successivi a firma delle organizzazioni sociali e delle istituzioni locali. Il silenzio sarà rotto soltanto da brevi dichiarazioni agli organi di informazione da parte del Ministro Giorgetti sulla impossibilità di realizzazione del piano ItalComp, senza fornire soluzioni alternative credibili.

Lo spettro dei licenziamenti a luglio 2021 viene momentaneamente allontanato con la proroga di sei mesi della cassa integrazione straordinaria per cessazione di attività (scadenza 22 gennaio 2022) richiesta dalla Curatela fallimentare e autorizzata dal Ministero del Lavoro. In tutti questi mesi, nonostante una continua eincessante richiesta di convocazione al Mise, supportata da continue iniziative, la presenza costante di un presidio davanti la sede della Regione Piemonte in piazza Castello (la “Tenda del Lavoro”), incontri con i leader politici impegnati nella campagna elettorale per le elezioni comunali e gli atti politici assunti all’unanimità(l’ultimo è del 2 novembre 2021) dal Consiglio regionale del Piemonte, non abbiamo avuto nessun tipo di risposta. Un silenzio e un’assenza ingiustificabile e insopportabile in un Paese che si dice civile e che dovrebbe attuare quanto scritto nella Carta a fondamento dello Stato: LA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA.

Siamo 391 famiglie, sempre più disperate, da anni sopravviviamo con le poche risorse della cassa integrazione, molti hanno dovuto fare sacrifici impensabili come quello di vendere e rinunciare alla propria abitazione, e in tanti dobbiamo ringraziare gli aiuti materiali forniti da Caritas e altre organizzazioni che si occupano di sostegno alla povertà. Un ringraziamento speciale lo vogliamo rivolgere all’Arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia per la vicinanza, materiale e morale, di cui abbiamo avuto dimostrazione in tutti questi anni.

Per un territorio come il nostro, Torino e la sua provincia, già pesantemente segnato da una crisi decennale e da processi di deindustrializzazione (a partire dalla produzione di automobili, ma non solo), di declino economico e di povertà, con la scomparsa di più di 400 aziende nel solo settore metalmeccanico e la conseguente perdita del posto di lavoro per oltre 32.000 persone, il nostro caso non può e non deve concludersi il 22 gennaio con il licenziamento e la disoccupazione. Rappresenta una catastrofe sociale!

Ci appelliamo a Lei, Presidente, che è il Capo dello Stato e il Garante della nostra Costituzione: una multinazionale non può cancellare i diritti di Cittadine e Cittadini in questa maniera, dopo avere sfruttato tutto quello che poteva! L’assenza e l’inazione dello Stato deve finire, si ritorni ad applicare quanto scrissero i nostri Padri: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, ì impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Chiediamo una cosa semplice: tornare a lavorare. Come operai, tecnici e impiegati.

La ringraziamo per tutta l’attenzione e l’impegno Presidente e la salutiamo con un abbraccio sincero".

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