Torino

Graziati i minorenni che condividevano violenze su bambini e apologia del nazismo nella chat Shoah party

La vicenda si chiude con la parola "perdono", i ragazzini all'epoca dei fatti oggi sono ventenni che hanno concluso un percorso e capito le loro gravissime responsabilità

Graziati i minorenni che condividevano violenze su bambini e apologia del nazismo nella chat Shoah party
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Sono una mamma di Siena e una della provincia di Torino le principali protagoniste, loro malgrado, di una brutta storia che ha preso il via nell'ormai lontano 2019, ancor prima del Covid.

Una quella che ha scoperto per prima, casualmente, nello smartphone del figlio allora 13enne, filmati pedopornografici di una violenza inaudita.

La seconda invece scoprì con orrore che era stato suo figlio, allora 15enne, ad aver "inventato" la spaventosa chat Whatsapp battezzata "Shoah party", attraverso cui minorenni di tutta Italia si scambiavano di tutto.

Cinque anni dopo, la vicenda processuale nel frattempo faticosamente articolatasi dalla rete a un'aula di Tribunale, è finita. Pochi giorni fa la decisione del giudice, che ha deciso di "graziare" gran parte dei ragazzini finiti nel buco nero di quella conversazione di gruppo online.

Shoah party, graziati 19 minorenni

Il videoservizio dell'epoca di Telecity, televisione del nostro gruppo editoriale Netweek:

 

Come raccontato da Prima Firenze, tutto è iniziato a Siena. Non è stato facile per la madre che a gennaio 2019 è andata dai Carabinieri a denunciare di aver rinvenuto nello smartphone del figlio 13enne scene di violenza su bambini, apologia del nazismo e del fanatismo islamico o altre scene di brutalità inenarrabile.

Il gruppo “The shoah party” si è diffuso in poco tempo in tutta Italia grazie al passaparola. I Carabinieri hanno dovuto lavorare cinque mesi attraverso intercettazioni telematiche richieste e ottenute dalla Procura dei Minori di Firenze, sotto il coordinamento della Procura Distrettuale di Firenze.

Autorizzati dai pubblici ministeri, i militari si sono introdotti sotto falsa identità all’interno del gruppo social, riuscendo a convincere gli amministratori della loro affidabilità, con un giochetto da hacker.

Le indagini arrivano a Torino

Dopo mesi d’indagini si è poi risaliti agli amministratori del gruppo, quelli che lo avevano creato e alimentato: la chat era gestita da due quindicenni  della provincia di Torino.

A ottobre erano scattate le perquisizioni (sequestrati decine di telefonini e computer), 19 a carico di minorenni e 6 a carico di maggiorenni, in 13 provincie d’Italia tra Toscana, Piemonte, Val d’Aosta, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Campania, Puglia e Calabria.

Le immagini rinvenute facevano riferimento a tre tipologie: video pedo-pornografici auto realizzati da minori; video realizzati da adulti, relativi ad atti sessuali e violenze compiuti da soggetti minorenni (anche di sesso femminile) ai danni di minori, anche in tenerissima età (2-4 anni); video per lo più associati a simboli nazisti.

I ragazzini nemmeno si conoscevano, si scambiavano soltanto sul telefonino questo materiale raccapricciante nella "chat degli orrori" chiamata "The Shoah Party".

Come già raccontato anche da Prima Torino, l'indagine "Delirio" ha scoperto che alcuni partecipanti alla chat si trasferivano nel Deep Web, dove in un contesto internet criptato, assistevano ad immagini di violenza addirittura peggiori e in situazioni “live”: cioè è stato loro anche consentito di interagire in condotte di violenza sessuale e tortura su minori, attuate in diretta da adulti.

I militari erano riusciti a risalire all’identità di due giovani entrambi 17enni, un ragazzo e una ragazza e dalle loro chat è emersa una descrizione dettagliata ed inquietante delle esperienze nel deep web, in particolare del ragazzo che ne riferisce alla sua amica, con descrizione delle cosiddette “red room”, stanze dell’orrore, nascoste nel deep web, cui gli utenti più attrezzati tecnologicamente riescono ad accedere a pagamento, per assistere a violenze sessuali e torture praticate “in diretta” da soggetti adulti su minori, con possibilità di interagire per gli “spettatori”, che possono richiedere determinate azioni ai diretti protagonisti delle efferate azioni, pagando in criptovalute, in “Bitcoin”.

Cosa è successo ora

Qualche settimana fa il lungo iter giudiziario è arrivato alla fine: il tribunale dei minori di Firenze ha deciso di non condannare gli imputati ritenendo che quei ragazzini, che all'epoca avevano 14 - 15 anni, oggi siano maturati e abbiano ben compreso la gravità di quei messaggi.

Il 28 maggio scorso, per i 19 imputati, fra cui i tre senesi, assistiti dagli avvocati Lucia Vichi, Silvia Monfardini, Maurizio Forzoni e Carlo Pini, si è svolta l’udienza preliminare a Firenze. Per tutti è arrivato il non luogo a procedere per perdono giudiziale. Fra trenta giorni la motivazione.

Oggi ventenni, studiano e lavorano, ma soprattutto hanno intrapreso un lungo percorso verso la piena comprensione dei propri sbagli. Per questo, il giudice ha deciso di chiudere il lungo capitolo giudiziario con la parola "perdono".

Stefano Tizzani, avvocato difensore dell'allora minorenne piemontese amministratore della chat Shoah Party, commenta così questa decisione:

"Il giudice ha preso atto delle relazioni dei servizi e che c’è stata un’effettiva presa di coscienza: proprio per la loro giovanissima età  i ragazzi non avevano compreso le conseguenze delle loro azioni. Ora sono cresciuti e più maturi.

Va specificato che molti messaggi sono stati inviati da adulti e i ragazzi non hanno subito saputo cogliere il disvalore e prendere le distanze, non avevano gli strumenti per capire che l’indifferenza non basta in un sistema che corre veloce senza protezioni.

Per il mio assistito in particolare questa decisione arriva dopo un lungo percorso molto sofferto. Oggi studia all'università e lavora.

All'epoca dei fatti non era pienamente consapevole di tutto ciò che veniva veicolato in quei messaggi che spesso non guardava neanche, ricevendo anche 50 notifiche al giorno.

Oggi, anche grazie a un iniziale percorso psicologico, è una persona diversa".

I giovanissimi che chiudono così il conto con la giustizia non sono solo piemontesi – come l’amministratore della chat ed un altro suo amico, assistito dall’avvocato Mauro Carena di Torino – ma della Calabria, di Modena, dell’Abruzzo, diversi del Lazio, uno è dell’Aretino, un altro della Campania.

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