Scopre che il fidanzato è un assassino e lui cerca di sgozzarla, condannato a 16 anni
Il Tribunale di Torino ha condannato con rito abbreviato il 37enne di origini tunisine disponendone anche l'espulsione quando la pena sarà espiata.
Ieri, 3 dicembre 2020, il Tribunale di Torino ha condannato con rito abbreviato Mohamed Safi, 37enne di origini tunisine, a 16 anni di carcere per tentato omicidio. E ha disposto l'espulsione una volta espiata la pena.
I fatti
La sera del 18 ottobre 2019 in corso Giulio Cesare aveva cercato di tagliare la gola alla propria fidanzata usando un coccio di bottiglia, "sei mia e lo sarai per sempre", "ti ammazzo e poi mi ammazzo io" urlava per la strada, una scena da incubo che per fortuna ha attirato i passanti che hanno salvato la donna allora 43enne.
Il terribile segreto di Mohamed Safi
I due si erano conosciuti in chat e si erano frequentati per alcuni mesi. Facendo qualche ricerca sul web, la donna aveva però scoperto qualcosa del passato di Mohamed Safi, un segreto terribile. Molti anni prima nel 2008, a Bergamo, aveva ucciso la sua compagna dell'epoca, Alessandra Mainolfi, e per quell'omicidio stava scontando una pena di 15 anni nel carcere Lorusso e Cutugno. Sfruttando la modalità di lavoro esterno prevista dall'articolo 21 dell'ordinamento penitenziario, lavorava come cameriere al bistrot Pausa Cafè di Grugliasco. Riuscendo quindi senza problemi a recitare la parte di un uomo qualsiasi.
La scelta di lasciarlo
Dopo aver scoperto il suo passato, lei aveva deciso di lasciarlo. Una decisione che le è quasi costata la vita. Sì, perchè Mohamed Safi l'avrebbe uccisa di sicuro se non fossero intervenuti degli estranei. Ed è giusto che ora paghi con il massimo della pena. L'uomo non ha solamente cercato di uccidere, ma anche interpretato a modo suo i permessi accordatigli dalle istituzioni. A Safi era stato concesso di lavorare come aiuto pasticciere da Gaudenti, locale nel centro di Torino, come cameriere ai tavoli del bar di Palazzo di Giustizia. E poi al bistrot di Grugliasco. Avrebbe dovuto seguire prescrizioni puntuali: orari e itinerari precisi da fare solo con determinati mezzi pubblici, per non parlare dei divieti su alcolici e stupefacenti. Disposizioni completamente disattese. E ora qualcuno dovrà risponderne.
La difesa
Mentre si cerca di fare luce sulla questione, l'avvocatessa dell'uomo, Daiana Barillaro, punta il dito contro il carcere e contro un sistema che non fornisce un adeguato sostegno di tipo psichiatrico. Senza quello per molti soggetti il reinserimento è destinato a fallire. In questa storia che sembra tagliare le gambe alla speranza, il segnale positivo arriva proprio dalla vittima che ha parole di ringraziamento per tutti e non ha mai perso la fiducia nel prossimo.
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