Riaprirà in autunno il Centro di Permanenza per il Rimpatrio di Torino (ma il Comune era contrario)
La Città di Torino aveva chiesto di non ospitare più strutture di questo tipo
Sono quasi finiti i lavori di ristrutturazione del Centro di permanenza per il rimpatrio di corso Brunelleschi a Torino.
Polemiche per la riapertura del CPR
Chiuso da marzo del 2023, dopo che era stato completamente devastato dalle rivolte dei migranti, il centro riaprirà in autunno con una capienza di 70 posti, ma si sta ancora cercando, tramite gara (pubblicata dalla Prefettura di Torino), qualcuno che lo gestisca.
Il bando scadrà il 19 agosto ed è aperto a realtà che abbiano già avuto incarichi analoghi. Il criterio è l’offerta economicamente più vantaggiosa.
La notizia della riapertura del CPR ha sollevato non poche polemiche. Soprattutto perché negli anni diverse realtà hanno chiesto di abolire i Cpr.
"Luoghi mostruosi".
Così li ha descritti Marco Grimaldi, vice-capogruppo alla Camera di Alleanza Verdi-Sinistra che ne auspica la chiusura viste le condizioni alle quali sono sottoposti i migranti, tra stanze sovraffollate, mancanza di riscaldamento e assenza di attività ricreative o di contatto con l'esterno.
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Non sono mancate in passato denunce da parte delle Ong che da sempre sottolineano la "disumanità" di queste strutture. Una su tutte Amnesty International che sul tema ha in passato dichiarato:
“Ora la Prefettura, con la complicità delle aziende, vuole ricostruire e riaprire il centro: ma noi non staremo a guardare, perché i CPR sono luoghi di tortura e di privazione della libertà e dei diritti. Sono dispositivi di controllo volti a marginalizzare e criminalizzare le persone migranti senza documenti europei. Ci dicono che così rendono sicure le nostre strade, ma la nostra idea di sicurezza sono strade ripulite dal securatismo. Dalla sorveglianza costante, dalla Polizia che esercita un potere arbitrario, violento e razzista."
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Anche la Città non è d'accordo
C'è poi un'ulteriore aspetto che riguarda il Comune di Torino che, in passato, ha chiesto di non ospitare più il CPR.
Il Consiglio comunale di Torino, del resto, il 13 marzo aveva approvato un ordine del giorno in cui si auspicava la chiusura definitiva, sottolineando come strutture di quel tipo non hanno niente a che fare con la sicurezza e impongono a chi vi viene trattenuto un’esperienza traumatica, che spesso interrompe percorsi positivi di integrazione e reinserimento.
Un tavolo di lavoro avviato dalla Garante e dall’Assessorato al Welfare, con la partecipazione di giuristi, medici e rappresentanti del Terzo settore, tutti impegnati nell’ambito dell’immigrazione, si era poi messo al lavoro per individuare misure preventive e alternative al trattenimento in detenzione amministrativa.
La volontà della Città è però rimasta inascoltata e ora potrebbe persino portare ad una richiesta di risarcimento.
I Centri di Permanenza per il rimpatrio e il governo Meloni
La riapertura del CPR fa parte della strategia messa in campo dal governo Meloni per arginare il problema dell'immigrazione clandestina e prevede un potenziamento dei centri (arrivando all'apertura di un centro per regione) e all'aumento dei mesi di trattenimento nelle strutture.
I Centri di permanenza per i rimpatri (Cpr) nascono come "luoghi di trattenimento del cittadino straniero in attesa di esecuzione di provvedimenti di espulsione". Cioè sono dei luoghi di detenzione per tutti coloro i quali entrano illegalmente in Italia e non hanno diritto all’asilo o alla protezione internazionale (per i quali, invece, è prevista la rete di accoglienza in attesa della definizione della domanda).
Con il decreto Cutro, in realtà, è stata aperta la possibilità del trattenimento del richiedente asilo durante la procedura accelerata di esame della domanda di asilo presentata alla frontiera al solo scopo di accertare il diritto ad entrare nel territorio dello Stato.