L'intervista

Crisi del calcio italiano, la ricetta di Evaristo Cola per uscire dalle sabbie mobili

In principio è stato Gian Piero Gasperini, in una recente intervista, a “denunciare” il fatto che oggi, nei settori giovanili, i baby calciatori ancora prima delle proprie capacità tecniche, vengono valutati per le qualità fisiche: se sono alti e con i piedi lunghi (che è sinonimo di crescita ulteriore) vengono presi, altrimenti, anche se bravi restano fuori dai tracciati radar professionistici.

Crisi del calcio italiano, la ricetta di Evaristo Cola per uscire dalle sabbie mobili

Crisi del calcio italiano, la ricetta del direttore sporto Evaristo Cola per uscire dalle sabbie mobili.

In principio è stato Gian Piero Gasperini, in una recente intervista, nell’analizzare la crisi del calcio nazionale a “denunciare” il fatto che oggi, nei settori giovanili, i baby calciatori ancora prima delle proprie capacità tecniche, vengono valutati per le qualità fisiche: se sono alti e con i piedi lunghi (che è sinonimo di crescita ulteriore) vengono presi, altrimenti, anche se bravi restano fuori dai centri sportivi professionistici.
E per capire se è veramente questo il “metro”, nel vero senso della parola, di giudizio abbiamo incontrato Evaristo Cola, Direttore Sportivo, nonché osservatore impegnato tutte le domeniche sui campi di provincia della Seria A, B e in Lega Pro alla ricerca di talenti per i grandi palcoscenici del calcio che conta. Nel suo curriculum ci sono le collaborazioni con Atalanta, Perugia e poi ancora Frosinone, Brescia che l’hanno portato a chiudere incontrati importanti, come quello di Giuseppe Mascara, siamo agli inizi degli anni Duemila. Giocatore cresciuto nelle categorie inferiori, Serie D con il Ragusa e poi Serie C1 e C2 con Battipagliese (C1/C2) e Avellino (C1) nella stagione 2000-2001, dove ha avuto un picco realizzativo con 16 reti in 29 partite di campionato per arrivare fino alla Serie B con Salernitana, Palermo (per due stagioni) e Genoa.

«Quando individui un giocatore con determinate caratteristiche – ci spiega Evaristo Cola – ovvero brevilineo, rapido, baricentro basso, che è forte nell’uno contro uno, capace a creare superiorità numerica, verticalizza e può fare la seconda punta o la mezzapunta (ruolo che sta scomparendo) – che di fatto ti fa la differenza, quando in Italia proponi un prospetto di questo genere ai vivai professionistici, spesso viene scartato. Non viene preso in considerazione».

Quindi, conta solo la struttura fisica mentre gli altri in Europa guardano anche altre caratteristiche?

«Dico che se da una parte è vero che la struttura fisica è importante, soprattutto in difesa e a centrocampo, dall’altra però se trovi una mezzapunta, un esterno alto a destra “alla Salah” per intenderci o una seconda punta con queste caratteristiche (brevilineo, rapido, scaltro, furbo, capace di saltare l’uomo e verticalizzare), io lo prendo perché sarà sempre quello che ti fa la differenza, ieri, oggi e domani».

Ed è per questo che ha dovuto usare la porta di servizio per far arrivare Beppe Mascara in Serie A dove ha giocato con Catania, Napoli e Novara?

“Sono dell’idea che se vedo un giovane bravo con quelle caratteristiche io devo investire tempo e lavoro anche se, lo dico chiaramente, molti club non lo prenderebbero per via di quei limiti sul piano strutturale. Secondo certi dirigenti difficilmente un giocatore così arriva ad alti livelli. E allora devi aggirare l’ostacolo. Come ho fatto con Beppe Mascara. L’ho mandato in C, in società dove valorizzano i giovani, è maturato fisicamente, tatticamente e sotto tutti i punti di vista, avendo però nel suo bagaglio quei colpi tecnici. L’anno successivo era pronto per giocare a certi livelli. E ci è arrivato”.

E questo è solo uno dei tanti esempi che potremmo fare, frutto della sua caparbia. Ma a livello “strutturale” cosa si potrebbe fare? Per far crescere il livello di tutto il movimento e non rischiare per la terza edizione consecutiva che la Nazionale Italiana non si qualifichi ai Mondiali?

«Dal mio punto di vista, partendo dal basso, le squadre in Serie D non dovrebbero avere l’obbligo di schierare gli Under fin dal primo minuto. Se proprio deve esserci l’obbligo di far giocare un giovane, si dovrebbe stabilire per regolamento nazionale e regionale che quel giovane da inserire in campo da titolare provenga dal proprio settore giovanile e magari tesserato già da tre anni. Così, allora, inizi a fare realmente delle politiche che puntano a preservare i vivai e fa emergere davvero i più bravi».

Basterebbe questo?

«Assolutamente no, ma sarebbe un inizio. Ad esempio i settori giovanili e, soprattutto, le scuole calcio dovrebbero avere istruttori – che non sono semplici allenatori – capaci di dare libertà al talento di esprimersi, senza ingabbiarli in tattiche rigide solo per ottenere il risultato immediato. È allucinante che, soprattutto ultimamente, un difensore non sia più in grado di fare la fase passiva dell’uno contro uno perché si gioca sempre a zona oppure rendersi conto che non esiste più la vecchia ala che ti salta nell’uno contro uno».

Norme e tattica: una vera rivoluzione quella che propone.

«Esatto, senza una vera rivoluzione la situazione non la puoi cambiare. Lo ripeto, la tattica ha fatto sparire la fantasia. I difensori non sono più abituati a marcare giocatori tecnici. C’erano una volta dei tornanti fortissimi; l’unico veramente micidiale e devastante, che ti puntava e saltava dappertutto, e che ha avuto problemi solo per l’infortunio, era Enrico Chiesa. Quel genere di giocatori non li “allenano” più. Oggi l’unico allenatore che accetta e valorizza l’uno contro uno sia in fase passiva che offensiva è Gasperini, che è un vero maestro. È allucinante vedere un vecchio terzino, che oggi chiamano “quarto basso”, arrivare sulla trequarti e non riuscire a fare un controllo, una sterzata, e preferire il passaggio indietro».

Non c’è speranza, dunque?

«No, anzi, al contrario: la speranza c’è. Eccome. Ma dobbiamo ripartire dai Centri Federali la federazione deve essere present sui campi delle Scuole Calcio per vedere come si insegna calcio. Oggi c’è troppa gente improvvisata. Bisogna investire: ci sono pochissimi fondi e gli istruttori – e uso una parola grossa perché per lo più sono persone che si improvvisano – sono mal pagati. Se il bambino ha del talento, lo ingabbiano in tattiche rigide solo per il risultato. Non gli insegnano l’uno contro uno, non gli insegnano il possesso palla, non gli insegnano tante cose. Per questo, in Italia, purtroppo, rischiamo anche questa volta di non andare al Mondiale. Bisognerebbe veramente ribaltare il calcio italiano come un calzino».

Maurizio Vermiglio