Alpeggi, nelle valli torinesi iniziano a scarseggiare l’erba e l’acqua
Inizia a diminuire la produzione di latte. A rischio quindi le produzioni di formaggi tipici di montagna.
Anche i pascoli delle valli torinesi iniziano a patire la sete. Per gli oltre 43mila bovini da carne e latte presenti negli alpeggi delle valli torinesi l’estate in montagna durerà meno del previsto. Molti pastori (i margari ndr) prevedono già di anticipare la discesa a valle per mancanza di erba e per l’impossibilità di abbeverare gli animali. Sulle montagne che sovrastano il capoluogo subalpino la siccità ha già fatto perdere circa il 30% di erba e la poca erba rimasta è ormai gialla, il colore che normalmente si vede a fine agosto.
L'anticipo della demonticazione
Così, se nelle estati normali, la demonticazione avviene da metà a fine settembre, quando le mucche hanno terminato il consumo dell’erba nelle diverse fasce fino alle altitudini intorno ai 2.000-500 metri, in questo 2022 così secco e caldo le prime mandrie potrebbero ridiscendere in pianura già a fine agosto, passando dal pascolo in quota al foraggiamento in stalla un mese prima del solito.
Questa scelta obbligata mette in seria difficoltà economica gli allevatori che dovranno iniziare prima del previsto a dare fondo alle scorte di fieno oppure dovranno acquistarlo anticipatamente subendo le quotazioni folli che, in questa estate del caldo e delle speculazioni, arrivano anche a 30 euro al quintale contro i 15 euro al quintale delle annate “normali”. Si tenga conto che una mucca consuma, in media, dai 12 ai 18 Kg di erba fresca o dai 6 bai 9 kg di fieno al giorno, a seconda della razza e dell’età.
La perdita di latte e di erba
La perdita di erba in montagna sta già causando anche una perdita di latte di circa il 20%, perdita che è destinata ad aumentare se non pioverà nei prossimi giorni. Il latte prodotto nelle valli torinesi, dalla val Pellice fino ad arrivare alla val Chiusella e alla bassa valle Dora Baltea, è utilizzato per i formaggi più pregiati tra cui la Toma di Lanzo, la Toma di Condove, la Toma del lait brusc, il Blu del Montenisio, il Plaisentif, il Cevrin, la toma ‘d Trausela, il Seirass del fen, e il burro d’alpeggio, prodotto sempre più quotato. Tutte eccellenze gastronomiche che potrebbero subire un drastico calo di produzione se continuerà a diminuire il latte di montagna.
Di fronte a questa situazione, al ritorno anticipato in pianura c’è il rischio che molti allevatori siano costretti a vendere i proprio capi per l’impossibilità di fare fronte ai costi per il mantenimento in stalla.
«In questo 2022 così drammatico, proprio mentre diventa evidente la necessità di ridurre la nostra dipendenza dall’estero nella produzione alimentare, vengono al pettine tutti i nodi che segnaliamo da tempo – afferma il presidente di Coldiretti Torino, Bruno Mecca Cici – Dobbiamo sostenere la pastorizia alpina con misure adeguate all’eccezionalità del momento. Ma dobbiamo anche attrezzare la montagna per affrontare la crisi climatica creando infrastrutture idriche per l’agricoltura montana. È necessario favorire l’accorpamento fondiario per una maggiore efficienza delle aziende montane. Bisogna difendere i pascoli e le mandrie da cinghiali e lupi. Occorre promuovere i contratti di filiera su latte, burro e carne per garantire un equo compenso agli allevatori. Bisogna favorire la vendita diretta dei prodotti d’alpeggio e la vendita nei mercati contadini ma anche creare una sempre maggiore integrazione tra allevamento e turismo favorendo la diffusione delle imprese agrituristiche».