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"Le mille notti": l'ultimo film di Stefano di Polito, il racconto di una Torino multiculturale

Intervista con il regista del documentario girato nel quartiere Aurora

"Le mille notti": l'ultimo film di Stefano di Polito, il racconto di una Torino multiculturale
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Di Silvia Venezia

L’ultimo lavoro di Stefano Di Polito, "Le mille notti" è in programmazione al cinema Agnelli (via Paolo Sarpi 111) a Torino il 10, 11 e 12 aprile 2023 alle ore 21.

Il film è stato girato dal regista torinese nel suo quartiere, Aurora, insieme a un gruppo di giovani attori non professionisti.  Si tratta di sei ragazzi nati e cresciuti a Torino, figli di immigrati dal Marocco, dal Senegal, dalla Cina, dal Pakistan e dal Sud Italia.

Storie che uniscono

L’ispirazione, come suggerisce il titolo stesso del film, arriva dalle novelle mediorientali di Sherazade. I sei giovani si recano a turno sul lungo Dora di notte per raccontare le loro storie al Sultano. Si tratta di storie che "uniscono"che raccontano quanto in fondo ci assomigliamo tutti, perché tutti affrontiamo le stesse fasi della vita. Ogni storia è poi collegata a un elemento del fiume: ai ponti che uniscono, all'acqua simbolo di trasformazione, alle stelle intese come metafora dei desideri e naturalmente all'Aurora, il giorno dopo la notte, la fase della realizzazione.

E poi c'è lui: il Sultano. O meglio ci siamo noi. Siamo noi che nell'ascoltare le storie di questi ragazzi ci accorgiamo che a fare male non ci sono solo i grandi casi di razzismo, ma anche i piccoli gesti che questi ragazzi subiscono nella loro quotidianità: sguardi, incomprensioni e domande.

Smontare modelli malsani con l'arte e i film

Il film mescola quindi la fantasia al racconto del vissuto dei ragazzi, mentre sullo sfondo c'è Aurora: un quartiere spesso associato al disagio e al degrado, ma che rappresenta invece, secondo il regista, un esempio positivo di multiculturalità torinese che potrebbe aspirare a diventare un modello di convivenza.  Gli ostacoli però non mancano a partire da una narrazione distorta dell'immigrazione usata spesso per una caccia alle streghe che porta a identificare gli immigrati come la principale causa di tutti i problemi del Paese.

Superare questi pregiudizi e capire il valore, culturale ma anche economico, degli immigrati sono sicuramente i primi passi da fare per smontare questi modelli malsani. Per raggiungere questo obiettivo il linguaggio dell'arte e i film possono essere strumenti utili. Le storie possono cambiare la percezione, questo è il loro potere. Quelle di Stefano De Polito poi giocano sul sovvertire i luoghi comuni che spesso ci influenzano quando abbiamo a che fare con "lo straniero" e allora c'è Luisa di origini cinesi che ha deciso di fare teatro e poi c'è Sayed un rider di origini pachistane che fa le consegne in giacca e cravatta perché al mattino studia e lavora come ingegnere.

Di Polito ci ricorda che, Torino in particolare, ha già vissuto un'immigrazione dal Sud Italia che ha già creato dei nuovi torinesi e una nuova città, ora questo deve avvenire anche per le nuove generazioni di figli di immigrati.

Si spera il prima possibile, perché come dice De Polito: "questi ragazzi ci sono adesso". Perdere il loro contributo sarebbe gravissimo. Solo con l'uguaglianza e la mobilità sociale Torino potrà crescere, diventare una "città dell'immigrazione",finalmente più consapevole, e trasformarsi in un faro per il resto del Paese.

Per farlo però servono investimenti seri, ad esempio, al lavoro delle associazioni, ma soprattutto questi ragazzi dovrebbe essere coinvolti in ogni fase del cambiamento. Sprecare la loro energia e la loro ricchezza culturale, ci avverte De Polito, sarebbe davvero un peccato non solo per loro, ma per tutti noi.

 

 

 

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