TORINO SUD

Ospedale San Luigi, gli infermieri: "Continuare a lavorare in Pronto Soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida"

Francesco Coppolella, segretario regionale del nursind: "Non vogliamo entrare nel merito del lavoro della magistratura che farà il suo corso nei diversi gradi di giudizio".

Ospedale San Luigi, gli infermieri: "Continuare a lavorare in Pronto Soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida"
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Colpisce non poco il mondo infermieristico e in particolare quello impegnato nei dea e nell’emergenza/urgenza, la sentenza di condanna a otto mesi di reclusione per omicidio colposo inflitta al collega del pronto soccorso del San Luigi.

"Non vogliamo entrare nel merito del lavoro della magistratura che farà il suo corso nei diversi gradi di giudizio, dichiara Francesco Coppolella, segretario regionale del nursind e neanche mancare di rispetto a chi ci ha rimesso la vita ma vogliamo testimoniare come ogni giorno , ogni infermiere che si trovi nelle stesse condizioni corre questo rischio per un sistema che non garantisce da tempo condizioni accettabili in grado di poter operare in sicurezza.

La lettera

Di seguito, la lettera aperta di Luca Zanotti, infermiere presso il pronto soccorso del San Luigi, rappresentante del Nursind, dal titolo esemplificativo che spiega bene lo stato d’animo di chi opera in questo settore, non solo al san luigi ma in tutti i pronto soccorso. Una voce che porta anche quella degli altri colleghi pronti tutti a chiedere un trasferimento di massa.

Lettera inviata ai colleghi di tutti i pronto soccorso del Piemonte che ha dato luogo ad una campagna di solidarietà nei confronti del collega incriminato.

"Continuare a lavorare in Pronto Soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida. Tutto cambia perché nulla cambi”.

La Medicina d’Urgenza ed il Pronto Soccorso, negli anni, hanno subito un cambiamento epocale, soprattutto in termini di richiesta di accesso alle cure; con rapida gradualità il Pronto Soccorso ha sostituito, in tutto e per tutto, la medicina territoriale detta anche “medicina di famiglia”. Sempre più persone si rivolgono ai Dipartimenti Emergenza e Accettazione (DEA) poiché non trovano risposta dal proprio medico di medicina generale e dalle strutture ambulatoriali disponibili sul territorio.

Nonostante il considerevole cambiamento gli organi dello Stato, le Regioni e le stesse Direzioni Generali Ospedaliere non hanno riorganizzato confacentemente i DEA con l’adeguamento delle nuove richieste della comunità (ad esempio: implementazione del personale per turno, creazione di percorsi alternativi, ecc…).Il risultato è sotto gli occhi di tutti: pazienti esasperati dalle lunghe attese, personale insufficiente che lavora con ritmi tipici delle catene di montaggio, che cerca - con acrobazie e voli pindarici - di “rattoppare” una nave che imbarca acqua da ogni parte, giorno dopo giorno. Ed ecco come ci si ritrova a dover svolgere la funzione di Triage (per altro, competenza propria infermieristica NON INDENNIZZATA): registrando, valutando e rivalutando, in media, 85 persone ogni turno di lavoro oppure dover gestire l’irrisolvibile problema del “boarding” (ovvero l’accumulo dei pazienti nei Pronto Soccorso per mancanza di posti letto nei reparti di degenza, con rapporto infermiere/paziente che sfida ogni legge oltre che il buon senso: 1 infermiere ogni 20 assistiti).Muri invalicabili quelli che si innalzano tra le direttive ministeriali e le misure messe in pratica dalle strutture ospedaliere per risolvere questi problemi. Il tempo passa e la nostra voce, la voce degli infermieri e del personale sanitario tutto, il nostro grido d’aiuto, rimane sempre più soffocato da denunce, sentenze, aggressioni - verbali e fisiche - e turni massacranti. Paghiamo, ogni giorno sulla nostra pelle, la mancanza di tutele che ci spetterebbero di diritto. Noi non ci stiamo più! Passare per carnefici ed assassini quando siamo vittime noi stessi di un sistema che non tutela più i professionisti che con passione, dedizione, responsabilità, studio ed aggiornamento continuo cercano di tutelare, con vincoli e ritmi frenetici, la salute delle persone assistite. Continuare a lavorare in Pronto Soccorso, a queste condizioni, è una missione suicida e per tale motivo valuteremo l’opportunità di richiedere, in massa, il trasferimento in altro servizio".

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