Una nuova prospettiva terapeutica del colon-retto
Anche l'Università di Torino nel team di ricercatori che ha individuato una strategia innovativa per rendere i tumori del colon-retto sensibili all'immunoterapia

Un team di ricercatori dell'IFOM, dell'Università di Torino e dell'Università degli Studi di Milano, in collaborazione con il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, l'Ospedale San Raffaele e l'Istituto di Candiolo, ha individuato una strategia innovativa per rendere i tumori del colon-retto sensibili all'immunoterapia, combinando due chemioterapici specifici. La scoperta, resa possibile grazie al sostegno dell'European Research Council (ERC) e della Fondazione AIRC, è stata pubblicata sull'autorevole rivista scientifica Cancer Cell e apre nuove possibilità terapeutiche per il tumore al colon-retto.
Una strategia per rendere i tumori del colon-retto sensibili all'immunoterapia
Il problema che affligge, ancora oggi, migliaia di pazienti oncologici è rappresentato dalla mancanza di terapie efficaci sebbene enormi passi avanti siano stati fatti. L’immunoterapia rappresenta una vera rivoluzione in oncologia negli ultimi 15 anni, incrementando le possibilità di cura per pazienti con melanoma, tumore del rene e alcune forme di cancro al polmone. Tuttavia, quando si tratta di tumore del colon-retto metastatico, questa terapia innovativa funziona solo in meno del 5% dei pazienti. La ragione sta nelle caratteristiche molecolari specifiche di questo tipo di cancro, che lo rendono praticamente "invisibile" al sistema immunitario.
"Da circa dieci anni nei nostri laboratorio studiamo una categoria di tumori che presentano un sistema di riparazione del DNA difettoso, chiamato mismatch repair”, spiega Alberto Bardelli, Direttore Scientifico di IFOM e Professore Ordinario del Dipartimento di Oncologia dell'Università di Torino, coordinatore dello studio. "Questi tumori definiti immunoresponsivi - prosegue Giovanni Germano, Ricercatore di IFOM e Professore associato di Istologia all'Università Statale di Milano, che ha coordinato lo studio insieme a Bardelli - sono particolari perché, a causa di questo difetto, accumulano centinaia di mutazioni che creano nuovi antigeni, ovvero molecole che funzionano come 'bandierine rosse' per richiamare l'attenzione del sistema immunitario."
L'obiettivo era quindi trovare un modo per trasformare i tumori "freddi", che il sistema immunitario non riesce a vedere, in tumori "caldi" che invece può attaccare efficacemente.
"In questa fase sperimentale, grazie al sostegno di Fondazione AIRC, avevamo già scoperto che alcuni farmaci come la temozolomide riescono a far emergere nel tumore le cellule in grado di presentare quelle bandierine rosse, quelle che il sistema immunitario riesce ad attaccare meglio - spiega Bardelli. - Il problema era che questo approccio funzionava solo per una piccola parte dei pazienti: meno del 20% di chi ha un tumore al colon-retto metastatico."
"Partendo da queste considerazioni, quattro anni fa abbiamo avviato un percorso di studio innovativo. - illustra Pietro Paolo Vitiello, Ricercatore IFOM e Oncologo medico presso l'Università di Torino, primo autore dello studio pubblicato su Cancer Cell - Abbiamo pensato di osservare cosa succede quando esponiamo le cellule tumorali a specifiche combinazioni di chemioterapici."
La svolta
La svolta è arrivata studiando la combinazione di due farmaci: la temozolomide, già nota per la sua capacità di selezionare cellule con difetti nel riparo del DNA, e il cisplatino.
"La combinazione di questi due chemioterapici - prosegue Vitiello - riesce a indurre nelle cellule tumorali uno stato adattativo particolare. Per sfuggire all'azione distruttiva dei farmaci, infatti, le cellule riducono la loro capacità di riconoscere e riparare i danni al DNA".
Il meccanismo di difesa del tumore si trasforma paradossalmente in una vulnerabilità:
"Le cellule trattate con questa combinazione - aggiunge Germano - hanno iniziato ad accumulare un numero elevatissimo di mutazioni, creando così tantissime nuove proteine, situazione simile a quando un batterio o un virus invadono da estranei il nostro organismo. È come se il tumore, nel tentativo di proteggersi dalla chemioterapia, si fosse reso riconoscibile e attaccabile dal sistema immunitario."
Ma i benefici non si fermano qui:
"Grazie ad una collaborazione con l’Ospedale San Raffaele - illustra Vitiello – abbiamo osservato che la combinazione di cisplatino e temozolomide è in grado di modificare anche l'ambiente circostante il tumore, il cosiddetto microambiente tumorale, rendendolo più favorevole all'attivazione della risposta immunitaria contro il cancro”.
La ricerca, sostenuta dall’Advanced Grant “TARGET” erogato dall'European Research Council e da un finanziamento della Fondazione AIRC, non è rimasta confinata ai laboratori: grazie a una collaborazione con il gruppo di Luis Diaz al Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, i primi 18 pazienti sono già stati trattati con questo approccio chemioterapico sperimentale.
I primi risultati incoraggianti
"Il passaggio dai laboratori ai pazienti ha prodotto i primi risultati incoraggianti. - sottolinea Bardelli - le analisi dei campioni ematici di questi pazienti ci confermano che il trattamento funziona: aumenta effettivamente le mutazioni nelle cellule tumorali. Tuttavia – precisa lo scienziato - è ancora necessario un lavoro di ottimizzazione prima di poter proporre questo nuovo regime terapeutico a un numero maggiore di pazienti."
Questa scoperta rappresenta un cambio di paradigma significativo: invece di combattere direttamente i meccanismi di resistenza del tumore, i ricercatori hanno imparato a sfruttarli.
"Possiamo pensare – riflette Bardelli - a trattamenti sempre più personalizzati che guidino l'evoluzione delle cellule tumorali verso uno stato che è più facilmente trattabile con le terapie immunologiche a disposizione.”
"Il prossimo passo sarà di valutare – anticipa Bardelli - altre strategie per rendere i tumori più sensibili all'immunoterapia, agendo sia sulla produzione degli antigeni tumorali che sull'interazione tra sistema immunitario e cancro.”
"Questo lavoro dimostra quanto sia importante accorciare le distanze tra le scoperte biologiche e l'applicazione clinica", conclude lo scienziato "È un risultato che non sarebbe stato possibile senza il programma IFOM dedicato ai Medici-Ricercatori, di cui Vitiello è stato parte integrante fin dal suo arrivo nel nostro istituto. Un programma che crea figure professionali dalle competenze trasversali e fortemente traslazionali."