Stellantis-Lear: intervista a Mariano Turigliatto, ex sindaco di Grugliasco
Turigliatto: "Qui abbiamo tutte le infrastrutture non solo quelle stradali ma anche quelle digitali rispetto al passato dove poter sviluppare un nuovo futuro"
Negli ultimi tempi, il tessuto produttivo industriale, legato al mondo dell'automotive, nel Torinese si sta indebolendo sempre di più da quando, quella che era l'ex Fiat (oggi Stellantis) ha cambiato pelle rispetto al passato.
La metamorfosi avvenuta negli ultimi 20 anni ha portato con sé grandi cambiamenti, come la chiusura di alcuni stabilimenti come quello di Termini Imerese (Sicilia).
Nel 2000 i lavoratori in Italia erano 74.300, mentre nel 2023 i lavoratori Stellantis sono 45.000 di cui 26.000 nell’auto. La maggior parte, nel 2024, è in cassa integrazione una, due, tre settimane al mese per via del calo delle vendite e della difficoltà delle auto elettriche di sfondare il mercato.
L'INTERVISTA
Noi di Prima Torino, abbiamo intervistato Mariano Turigliatto, ex sindaco di Grugliasco che si è occupato anche dei lavoratori quando ricopriva la carica.
L'ex Fiat, oggi Stellantis non sta più dando i risultati sperati, perché?
"Le ragioni sono molteplici: sono riconducibili al fatto che la Fiat (e le sue declinazioni successive) si è definitivamente sganciata dal Torinese. Non è più una fabbrica che costruisce automobili bensì è pura finanza. Essendo finanza è per sua natura mondiale e certamente non si occupa di zone che sono in declino.
Chi fa finanza è sicuramente responsabile di questo declino, di questa assenza di prospettiva che preoccupa un po' tutti, visto che al momento non si capisce quale e quando sarà il punto di caduta".
Sul territorio di Grugliasco ci sono due aziende che fanno parte dell'indotto Fiat che sono la Lear e la Maserati. Oggi queste due realtà non esistono quasi più, una è completamente cessata. Qual è secondo lei la cicatrice che lasciano sul territorio, quali saranno gli sviluppi di questa "morte" del tessuto produttivo?
"La Maserati ormai non c'è più. Abbiamo in realtà avuto in passato importanti industrie che erano l'eccellenza dell'automotive italiana e quindi anche piemontese: la Pininfarina e la Bertone che nascono come carrozzerie, ma che poi hanno prodotto modelli completi per marchi mondiali, come la Ferrari. Quindi stiamo parlando di realtà nelle quali si era determinata rispetto alla città, rispetto al territorio da cui proveniva gran parte delle maestranze una specie di contiguità, di vicinanza perché lavorare lì era un segno distintivo, quali l'idea di appartenere ad un'aristocrazia operaria che aveva diritti sindacali rispetto ad altre realtà del paese. C'era poi la Comau, anch'essa già venduta.
Secondo lei la politica locale sta facendo abbastanza?
"No, non solo quella locale, neanche quella regionale. Non sta facendo nulla di significativo. Ciascuno dei soggetti che avrebbero voce in capitolo, si comporta come se non fosse affar suo, come se fosse una cosa ineluttabile. Questa crisi industriale nel modo in cui si sta sviluppando viene proprio vissuta dalla politica e descritta così.
Gli unici che paiono avere una qualche capacità di analisi, di comprensione del fenomeno sono i sindacati che avevamo dato per morti. Invece, rispetto al nulla, hanno una capacità di comprendere non solo la realtà operaia ma anche come e quali sono le strada per porre rimedio a questa situazione".
Torino e la sua provincia devono rimanere ancorate al mondo dell'automotive oppure pensare di diversificare se stessi?
"Il problema non è lo stabilimento o gli stabilimenti della Fiat ma tutta la rete di imprese legate al mondo dell'auto, con migliaia di lavoratori, che hanno maturato nel tempo competenze e creato un sistema che le metterebbe di rimanere competitive se esistesse ancora un'industria automobilistica del trasporto in generale, più nel dettagli del trasporto pubblico".
Se fosse ancora sindaco cosa farebbe?
"Non lo so perché la prospettiva di governo del territorio è uscita completamente dalla mia vita, quindi non ho più lavorato di testa per costruirmi una cultura per cercare di fare quello che serve. Sono un po' approssimativo nella risposta e non mi piace essere così. Di gente che si occupa delle questioni in maniera approssimativa ne abbiamo già non c'è bisogno che mi ci aggiunga pure io. Credo che però questa povertà è data dal declino di una ricchezza è chiaro che bisogna ripensare a quella ricchezza lì. Vedere aziende che si trasformano in non luoghi fa male. Se al posto di un'azienda arriva un supermercato, una palestra ci dimostra che il lavoro è finito, che non ci sarà più la manifattura.
Sono dell'idea che ci va una "conferenza di corso Allamano" visto che buona parte di ciò che abbiamo detto si sviluppa su questo corso e Mirafiori sud per decidere quali sono le linee di un marketing del territorio industriale e poi dire a chi rappresenta il territorio stesso di andare in giro per il mondo a proporre la realtà torinese.
Qui abbiamo tutte le infrastrutture non solo quelle stradali ma anche quelle digitali rispetto al passato".
I cinesi sono la soluzione per fronteggiare la crisi dell'automotive nel Torinese?
"Credo che i cinesi siano la soluzione nel breve tempo, ma non quella che guarda nel futuro più lontano, I cinesi cercano un posto dove produrre al costo più basso le loro auto per invadere il mercato. Loro hanno messo gli occhi sull'ex stabilimento Bertone questo vuol dire che hanno fatto quello che avrebbero dovuto fare i nostri politici".