TORINO

La storia di due 'genitori bike-to-worker' torinesi

Nico: "Siamo due genitori che hanno superato il mezzo secolo e che vivono a Torino, quindi riteniamo che se ce l’abbiamo fatta noi possono farcela quasi tutti"

La storia di due 'genitori bike-to-worker' torinesi
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Il mondo sta cambiando sempre più rapidamente sul fronte economico, sociale e ambientale. I cambiamenti climatici e l'inquinamento atmosferico (che da anni soffoca le nostre città) richiedono scelte drastiche, radicali in molti ambiti, in primis quello della mobilità.

Quest'oggi, venerdì 12 aprile 2024, condividiamo con voi una lettera di un torinese, Nico De Leonardis e di sua moglie che hanno cambiato alcune abitudini nella vita quotidiana. 

"Vorrei raccontare la nostra storia di ‘cargo family‘ se così si può dire. Siamo due genitori bike-to-worker da diversi anni con due bambine di 10 e 5 anni e da quasi un anno abbiamo acquistato una cargo bike mid-tail. Siamo due genitori che hanno superato il mezzo secolo e che vivono a Torino, quindi riteniamo che se ce l’abbiamo fatta noi possono farcela quasi tutti. Come dicevo siamo due ciclisti abituali. Io esclusivamente in ambito urbano e sono arrivato all’uso della bici non per hobby legati alle due ruote. Non per passioni pregresse insomma. Non sono un estremista. Se serve prendo l’auto anche per andare a lavoro ma paradossalmente quelle giornate le vivo come una rinuncia a qualcosa, di uno spazio mio, di un intermezzo che suddivide meglio le mie giornate tra gestione familiare, lavoro ed attività serali. La mia compagna è più fondamentalista. Usa la bici anche in condizioni climatiche avverse (compresa la neve) e il cicloturismo è stata una passione che ha coltivato finché ha potuto.

Come siamo arrivati all’acquisto di una cargo è una lunga storia. Quasi dieci anni fa svolgevo la mansione di mobility manager e avevo ottenuto un riconoscimento FIAB per la mia amministrazione. All’epoca, anche per ruolo, i miei spostamenti erano principalmente con i mezzi pubblici alternati da bici e anche da auto. Un approccio laico in maniera da calarmi meglio nei vari abiti mentali dei miei colleghi e capire le loro esigenze. In quel periodo, chiedo di essere ricevuto dal dirigente per renderlo partecipe di questo riconoscimento nazionale sul bike to work (oltre 100 persone coinvolte, all’epoca più del 10% dei dipendenti, 3000 km in un mese) e per chiedere di valorizzare con qualche premio simbolico i colleghi che hanno partecipato. Nella ‘trattativa’, in modo del tutto bonario, il dirigente mi mette sull’avviso che con la figlia prossima all’età scolastica mi sarei dovuto rassegnare all’uso dell’auto.

Insomma la pacchia era finita secondo lui. E io sono cascato in pieno in questa narrazione autocentrica.

Il primo giorno di asilo vado a prendere mia figlia in auto con la mia compagna e succede l’imprevedibile: un incidente. Tampono un’auto. Nessun danno rilevante, tutto bene. Dall’altra parte scende una donna trafelata che mi lascia il numero di telefono dicendomi che anche lei deve correre a prendere i bambini.

È stata la mia sliding doors. Da allora niente auto. Abbiamo usato le nostre gambe, i mezzi, soprattutto le bici, in uno sharing familiare per cui si lasciava la bici con il seggiolino attaccata all’asilo dopo l’entrata e si andava a lavoro in bus e al rientro il contrario, si scendeva dai mezzi e si andava a prendere di sera la bici legata al palo lasciata all’uscita.

Poi le elementari, la seconda figlia, il cambio di casa, con un’altra logistica: due mezzi da prendere per andare a lavoro con tempi di attesa che a quel punto richiedevano di cambiare qualcosa.

E niente, era necessaria una pieghevole. Mi sembravano lunghi quei quarti d’ora ad aspettare il cambio per quattro fermate, sotto una ciclabile peraltro. E mentre mi interessavo ai modelli e facevo delle prove arriva la pandemia.

La pandemia cambia molte cose nella nostra famiglia. Volevo cambiare lavoro perché le idee che avevo sul mobility management non collimavano con l’indirizzo aziendale che prevedeva il rispetto della forma (abbiamo un mobility manager, quando serve lo tiriamo fuori dal cassetto) ma iniziative di basso profilo, senza crederci insomma. Sui media c’era all’epoca un dibattito che faceva arrivare ai più il senso del mio lavoro (finalmente) ma mi trovavo sempre costretto in una mentalità aziendale ristretta rispetto alle istanze di colleghi e alle proposte che c’erano all’esterno.

Cogliamo il bonus governativo per comprare due bici: una ebike per la mia compagna e una pieghevole. Mi sembra assurdo spendere così tanti soldi per delle bici di valore ma mi conforta il mio vicino di casa. La moglie che incontravo spesso sul bus e faceva un tragitto breve e comodo gli aveva chiesto una Panda e una volta comprata l’auto ha finito per comprare anche un secondo garage. Il Covid non ha colpito le coscienze tutte allo stesso modo. Prendiamo atto di queste scelte dei vicini e andiamo avanti.

Sono 14 km a testa tra andata e ritorno più gestione familiare post scuola. In più, sembrerà assurdo ma la nuova pieghevole mi apre un mondo al minimalismo, alla chiarezza delle cose. Gli occhi sempre più aperti non solo sulla strada mi aprono nuove opportunità. Comprata per far intermodalità, uso la bici e basta.

La figlia grande, dopo il Covid, va a scuola in bici seguendoci, il tragitto è breve e tutelato da ciclabile. La piccola, nel suo seggiolino, intanto cresce.

Tagliamo in casa gli abbonamenti ai mezzi pubblici anche se sono ultra agevolati in azienda (ovvero da me stesso come mobility manager). Arrivano gli oltre 20 kg della piccola, una ebike sempre in equilibrio precario e tre borse da portare oltre la bambina: una cartella, il sacco per la materna, lo zaino. Un po’ troppo. Fare bike to school con 15 kg di zaino è un problema che andrebbe affrontato con le scuole.

Abbiamo iniziato allora ad organizzare in città delle iniziative di bike to school con Bike Pride e Comitato Torino Respira. Degli amici attivisti ci invitano poi a partecipare ad un Cargo Days. Andiamo a provarle per curiosità, le bambine si divertono, noi rimaniamo perplessi. L’idea c’è, ci frenano i costi e il senso dell’investimento.

Intanto io cambio lavoro, completamente diverso purtroppo ma mi sembra un passo laterale da fare. Lavoro in ambiente ministeriale, posto all’apparenza molto formale ma il secondo giorno arrivo in pieghevole.

E la mia bici parla con tutti. Le manca la parola, ma dialoga, pone questioni, fa fare battute anche grevi sui ciclisti e gli ecologisti ma fisicamente entra nel dibattito giornaliero. Passano i mesi e qualcuno capisce e comprende le mie ragioni di usare la bici, qualcuno è attratto dall’oggetto che ha il suo stile, altri ti ammirano, altri si lavano la coscienza pensando che statisticamente nell’ufficio c’è chi salverà il mondo quindi può stare sereno.

Capisco l’importanza di un mezzo a due ruote sempre presente a casa o a lavoro.
Mia figlia piccola ha risvegli continui di notte e ci svegliamo come degli stracci. Penso di prendere l’auto perché non ce la faccio qualche volta. Poi la vedo in un angolo lì piegata nel soggiorno e la prendo con me. Mezz’ora e scopri di avere energia, di essere presente a te stesso.

Ma l’idea della cargo intanto si è insinuata. Mi faccio consigliare, mi indirizzo sulle long tail e le scarto perché in fondo una figlia è già autonoma in bici, considero le mid tail (quelle che quindi hanno un solo posto dietro). Preferisco le soluzioni basse, scarto i modelli venduti solo online e alla fine vado dal mio venditore di fiducia che ha un bel divano in negozio.

Ci sediamo portatile alla mano e mi configura la bici. Mi costerà mezza Panda ma almeno per quattro anni giro in sicurezza con mia figlia. Poi penso la rivenderò. Quanto mi costerebbe una seconda auto all’anno? Ammesso che qualcuno voglia in famiglia rendersi schiavo dell’auto ogni giorno.

Mi convinco che bisogna far parte di quelli che il mercato chiama gli ‘early adopter‘ perché è nella nostra storia familiare. Chiedo solo di provare lo stesso modello prima di acquistarla. La prova la mia compagna. E alla fine decido di farle il regalo dei 50 anni: una cargo bike.

Ovviamente l’investimento va tutelato e mi documento: catena adeguata, allarme, assicurazione. E no, quest’ultima in Italia non c’è ancora come la intendiamo per moto e auto. Decido comunque di coprire tutta la famiglia con un’assicurazione RC e infortuni per maggior sicurezza.

La cargo si fa conoscere davanti alle scuole e desta molta curiosità ma la cosa più piacevole è incontrarne altre. Una volta incrocio su una ciclabile una mamma con tre figli, una Bicicapace e il figlio più grande sul monopattino, gli grido di fermarsi perché è un segno dei tempi che cambiano. Ci facciamo una foto, parliamo, è un avvocatessa. Insomma andare in bici è una scelta di chi lavora e non spreca tempo. Tutto ciò smonta la narrazione dominante delle due ruote per sfaccendati. Un altro genitore assolutamente ignaro di questo mondo prima di vedere la mia cargo bike, va in vacanza a Parigi e mi manda foto di cargo che vede per strada. Mi dice che faccio da apripista ad un mondo che è già realtà. Torna e vuole comprarsi una bici.

Ma io ormai con questa bici faccio tutto. Non debbo calcolare i tempi di parcheggio davanti alle piscine, palestre, psicomotriciste, maestri di piano, scuole. Mentre le bambine fanno le loro attività posso fare commissioni senza l’angoscia del parcheggio, dello spazio che non ho a bordo. Calcolo i tempi e le distanze che già per scelta sono prossime ai due quartieri contigui. Insomma la nostra città dei 15 minuti ce la siamo fatta in casa. La cargo è il mezzo per plasmare la nostra mappa quotidiana. Il sabato al mercato taglio i tempi e le ansie da parcheggio.

Dopo i primi tempi sono anche meno paranoico sui furti. È una bici ingombrante, con GPS, ma soprattutto con un mercato ristretto e dopotutto facilmente individuabile. Sempre catena, allarme e blocco ruota ma alla fine sono più tranquillo.
In cargo con i tuoi figli parli, loro apprezzano le strade di più che in auto, imparano ad orientarsi. Le mie figlie non conoscono lo stress di un padre che parcheggia in seconda fila e manda a quel paese chi ti suona dietro. La dimensione è quella di una bici tradizionale ma ha una presenza su strada che alla fine ti dà sicurezza anche rispetto alle auto.Ogni mese compilo un kabebo, un budget familiare. Prima della cargo un pieno di benzina mi durava un mese, ora segno la data del rifornimento. Sono arrivato a oltre cinquanta giorni tra un pieno e l’altro. Avevamo pensato di toglierci l’auto ma ormai il costo opportunità consiglia di tenerla anche se per lo più ferma in garage. Il valore complessivo del mio parco bici (una ebike, una cargo, una pieghevole, bici da abbandonare in strada e le biciclette delle mie figlie) supera di due volte il valore della mia vecchia auto.

Economicamente una cargo non è un lusso è una scelta, lo ribadisco. È un dato culturale. In ufficio un collega ogni anno cambia l’iphone, io ho speso quella cifra una volta sola per un mezzo di locomozione praticamente eterno. Eppure per lui sembra una cifra esagerata.

Ma tornando alla cargo una bici di questo genere che può costare un paio di dignitosi stipendi si ammortizza in due/tre anni, i costi vivi di una seconda auto. I costi vivi sono quelli di gestione – per intenderci assicurazione, bollo, benzina, manutenzione – non di acquisto. Siamo su ordini di grandezza diversi. Per rimanere nell’ambito ciclistico ci sono bici che hanno lo stesso valore economico che sono usate per svago e sport per pochi giorni l’anno.

La cargo è un mezzo d’uso quotidiano per noi. Non so se sarà per sempre ma magari con le figlie grandi andrò a cinema con la mia compagna dietro. Se invece cesserà la sua funzione recupererò parte dell’investimento vendendola come si fa per i lettini, il trio, il seggiolone.
Probabile che tra qualche anno l’offerta di usato farà calmierare i prezzi e renderà accessibile questa scelta (che di per sé è sempre la più economica rispetto ad una seconda auto) a molte famiglie.

Ma voglio chiudere pensando al futuro. Alle mie figlie che tra meno di dieci anni potranno chiedermi di prendere la patente ed è giusto che sia così. Ma magari sapranno già che, dopo la patente, per essere indipendenti e muoversi in città non è necessario possedere un’auto.

Questo è il vero investimento culturale, economico, oserei dire etico, che abbiamo fatto comprando una cargo bike"

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