Greenpeace e il presidio al discount: no alle carni da allevamento
Gli ambientalisti hanno inscenato dei "contro-spot" acustici per sensibilizzare gli acquirenti contro la zootecnia del profitto.
Clamorosa azione di protesta e disobbedienza civile da parte di Greenpeace, il sodalizio di ambientalisti d'assalto famoso per le sue rivendicazioni anche spettacolari con un presidio al supermarket.
Tutti ricordano le piccole barche con la bandiera di Greenpeace che infastidiscono enormi baleniere giapponesi per contrastare la caccia ai cetacei in via di estinzione. Ma non solo: gli attivisti sono anche autori di notevoli inchieste sullo scorretto smaltimento di rifiuti (si parla di tonnellate illegali, non certo della pattumiera di casa); come pure di altre azioni dimostrative sempre improntate al dissenso pacifico. Come in questo caso, con gli ambientalisti torinesi che hanno voluto attirare l'attenzione sull'allevamento intensivo degli animali. Cosa vuol dire: gli animali destinati all'alimentazione vengono spesso (quasi sempre purtroppo) cresciuti con modalità che rispondono più al business che alla qualità. Quindi, meno tempo ci mettono a crescere e ad ingrassare, più "veloce" è la loro vita, prima si possono macellare e vendere come carne.
L'etica e la qualità gastronomica
Ciò porta due conseguenze: la prima di ordine etico-morale, la seconda di tipo salutistico-qualitativo. Ossia: secondo alcuni è sbagliato allevare bestie, seppur destinate al macello, in condizioni anguste (le stie dei polli sono molto esemplificative a riguardo). La seconda conseguenza è di tipo più... "nostrano" e riguarda la qualità di ciò che cuciniamo. Mangiare una gallina che, fin dalla sua nascita, non si è mai mossa di un centimetro ed è stata ingrassata a mangimi è una cosa. Mangiare una gallina ruspante che ha vissuto sull'aia cibandosi di vermicelli, insalata e mais è tutt'altro. Stesso discorso per le uova che quella o questa gallina producono. Idem come sopra per i vitelli ingrassati a forza (magari con estrogeni) o per le oche d'allevamento... Insomma, sia che il dubbio venga per un motivo etico-animalista sia che si cerchi il meglio per la propria tavola, gli allevamenti intensivi sono una specie di nemico da battere. Così gli attivisti di Greenpeace ci hanno messo faccia e tempo per attestare la loro contrarietà.
Il presidio in via Carlo Alberto
I volontari e le volontarie sono entrati in azione a Torino per chiedere di cambiare il sistema di produzione di cibo e abbandonare il sistema degli allevamenti intensivi. Gruppi di volontari dell'associazione ambientalista hanno allestito un punto informativo in via Carlo Alberto di fronte al supermercato con “carrelli parlanti” che mostravano le conseguenze ambientali e sanitarie della zootecnia intensiva. Intanto dei finti spot promozionali invitavano a scoprire le “offerte sconvenienti” del sistema degli allevamenti intensivi. Greenpeace chiede al Governo di usare i fondi pubblici per una transizione ecologica del settore, sostenendo economicamente le aziende che producono su piccola scala. L'idea è quella di abbandonare il modello intensivo riducendo il numero degli animali allevati, scopo anche del presidio di Greenpeace al supermarket torinese.