TORINO

Convegno sulla criminalità organizzata nell’auditorium della Città Metropolitana

Sul palco poi è salito il procuratore capo della Repubblica del tribunale di Torino, Giovanni Bombardieri, che ha sollevato l’attenzione sulla necessità di ascoltare i campanelli d’allarme

Convegno sulla criminalità organizzata nell’auditorium della Città Metropolitana
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La ‘Ndrangheta adesso usa i computer ed è radicata da decenni anche al nord

E’ quanto è emerso dal convegno organizzato nell’auditorium della città metropolitana di Torino nella mattinata di oggi, giovedì 13 marzo, dalla commissione legalità del Consiglio regionale del Piemonte, presieduta da Domenico Rossi.

Mafia radicata

La ‘ndrangheta al nord è ben radicata, e continua a fare affari. E’ quanto è emerso dal convegno torinese organizzato dalla Commissione legalità del Consiglio regionale del Piemonte. Dopo i saluti iniziali del consigliere Domenico Rossi, presidente della Commissione legalità, si è entrati subito nel vivo dell’argomento. Il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio ha ricordato come bisogna mantenere alta la guardia anche sul territorio piemontese, ora che

<<Per la sanità c’è un piano con fondi del Pnrr da 4 miliardi. Con il combinato disposto della fretta di impiegare questi fondi e della loro enorme mole il rischio di infiltrazioni è molto alto, perché è una situazione molto appetibile. Ma il fenomeno dei beni confiscati anche sul nostro territorio mi fanno ben sperare, perché vuol dire che lo Stato vince>>.

Superamento confini

E’ intervenuta poi il procuratore generale di Torino, Lucia Musti, che ha sottolineato come <<In Piemonte e in Val d’Aosta le mafie sono inserite nella società, strutturate senza confini. Negli anni ‘60 e ‘70 era nel Nord Ovest, ora è nel Nord Est, ma tutto il nord è occupato ora militarmente dalla mafia 4.0 che ha trasformato la violenza in ricchezza, aggiungendo servizi legali come il movimento terra, i mercati e la costruzione di centri commerciali nelle proprie attività, per non parlare degli eventi straordinari come le calamità naturali e i grandi eventi quali Expo e i giochi olimpici>>.

I campanelli d'allarme

Sul palco poi è salito il procuratore capo della Repubblica del tribunale di Torino, Giovanni Bombardieri, che ha sollevato l’attenzione sulla necessità di ascoltare i campanelli d’allarme:

<<Bisogna meditare fortemente su questo, l’importanza dei testimoni di giustizia e parallelamente c’è il sistema bancario. Ma c’è qualcosa che non va se gli imprenditori che denunciano diventano un problema per il sistema bancario. L’imprenditore che denuncia è una risorsa, dobbiamo tutti denunciare e tutti abbiamo il dovere di stare vicino a chi denuncia. La mafia opera al nord da anni, la ‘ndrangheta non è mai stata percepita come un pericolo perché esportava capitali all’estero. Ma quando segnalavamo la cosa ci dicevano che vedevano persone incensurate investire nell’acquisto di immobili e aprivano ristoranti, ma oggi dal Nord Europa ci chiedono collaborazione in continuazione. Anche in Australia la ‘ndrangheta opera a livello criminale, ma oggi la criminalità organizzata non spara, investe in altro. La ‘ndrangheta è presente dove ci sono i soldi>>. Un ruolo importante è giocato anche dalle associazioni di categoria, che <<devono stare molto vicino ai loro associati, per evitare che gli imprenditori finiscano in cattive mani. Ma la ‘ndrangheta si può contrastare solo grazie alla crescita culturale che parte dalle scuole>>.

Il problema del giornalismo

Al convegno ha partecipato anche Giuseppe Legato, giornalista investigativo de La stampa, che ha lanciato un appello accorato per protestare contro il divieto di pubblicare gli atti giudiziari, recentemente entrato a piedi uniti nel dibattito sulla lotta alla mafia e, più in generale, nei temi riguardanti il giornalismo:

<<La ‘ndrangheta è un fenomeno che va a toccare pezzi rilevanti o meno della società, e con questi parla. Il giornalismo che non si limita a fare i nomi e l’elenco delle persone arrestate, ma cerca di fare un passo in più, è necessario per raccontare questo fenomeno. Per questo motivo un giornalista deve avere accesso alle informazioni come gli atti giudiziari, perché gli danno la possibilità di sviluppare un ragionamento>>. Cosa che, con il divieto della pubblicazione degli atti giudiziari (la raccomandazione è quella di farne al massimo una sintesi) viene meno: <<Per la presunzione di innocenza non si possono usare questi documenti fino al processo – così Legato – stanno saltando tutte le coperture, così dal giornalismo investigativo si passerà a un giornalismo divulgativo, ma a farne le spese sarà l’opinione pubblica>>.

Il ruolo delle università

All’incontro ha poi preso la parola la professoressa e ricercatrice Laura Somparin, che ha spiegato come le università, da produttrici di cultura e ricerche, stiano diventando sempre più pure loro dei player economici sui territori di appartenenza: <<Le università si stanno trasformando in aziende, e come tali stanno diventando appetibili alle organizzazioni criminali. Basti pensare che in tutto il Piemonte le università hanno 10mila dipendenti, e la sola università di Torino ha un bilancio annuo di 1 miliardo di euro. C’è bisogno di aiuto per costruire una cultura in questo senso, per mettere al riparo da infiltrazioni anche il mondo universitario>>.

Amministrazioni integre

Roberto Montà, presidente dell’associazione “Avviso pubblico”, ha posto poi l’accento sulla realtà dei piccoli Comuni. In Piemonte sono 1182 le realtà dove, per la loro conformazione, è più facile che le infiltrazioni avvengano, perché <<Bastano poche decine di voti per eleggere un consigliere – così Montà – e quindi è più facile arrivare nei consigli comunali e nella cosa pubblica. E’ necessario che le amministrazioni quindi scelgano da che parte stare, e fatta la scelta devono esserci però strutture tecnico amministrative di supporto. I rapporti nazionali ci dicono che i Comuni sono gli ultimi a trasmettere le segnalazioni obbligatorie sul riciclaggio, e soprattutto c’è bisogno di comuni che non voltino la faccia sui beni confiscati>>.

L'intervento di Don Ciotti

<<Sono molto preoccupato per la retorica che si fa sul termine legalità>>, ha poi preso la parola don Luigi Ciotti, che quest’anno celebra i 30 anni della sua associazione di associazioni contro le mafie e gli sfruttamenti. L’occasione del convegno è stata proprio la prossimità della giornata del 21 marzo, in cui si celebra Giornata della memoria e dell'impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie.

<<Prima della legalità dobbiamo parlare con i ragazzi di educazione alla responsabilità. In molte realtà la parola legalità è diventata un idolo, un sedativo che fa sentire chi la usa con la coscienza a posto e dalla parte giusta. Le ultime notizie invece ci parlano di associazioni antimafia composte da mafiosi. In Italia abbiamo 1 milione e 400 mila bambini che vivono in povertà assoluta, e i giovani che scelgono di andare all’estero sono aumentati del 258%. E’ questa la grande sfida culturale che dobbiamo affrontare, ricordando che la malattia più terribile è la delega: tocca a tutti noi fare qualcosa, con la priorità assoluta del riavvicinamento della politica alla società civile>>.

Usura ed estorsione

Maria José Fava, della direzione nazionale di Libera, e il professore Rocco Sciarrone, sociologo dell’università di Torino, hanno poi presentato una ricerca condotta tra Torino, Napoli e Firenze. Un questionario è stato consegnato agli operatori economici delle tre città (negozianti, baristi e artigiani, porta a porta), con domande mirate alla creazione di una mappatura dei fenomeni in questione. I dati emersi sono inquietanti:

<<A Torino – così Josè Fava – il 6% di chi ha risposto ai questionari (il 50% di quelli consegnati) ha detto che conosce personalmente qualcuno che paga il pizzo. Il 20% ha confermato di essere a conoscenza del fenomeno in città, mentre sempre a questa domanda il 25% non ha risposto, nonostante il questionario fosse anonimo. Per l’usura le percentuali crescono: chi sa del fenomeno sul territorio, sempre a Torino, sale al 33%>>. Un problema grosso è quello dell’ignoranza degli strumenti a disposizione: <<L’80% degli intervistati non era a conoscenza dei fondi che lo Stato mette a disposizione di chi denuncia, per aiutarlo a uscire da brutte situazioni e a rimettersi in pista. La denuncia è l’unico modo per uscire da queste situazioni>>.

45 locali di Ndrangheta nelle tre regioni del nord ovest

Il professor Sciarrone è intervenuto poi sul discorso della presenza al nord delle mafie, spiegando come sia da decenni che sono presenti al nord:

<<La loro presenza – così lo studioso – non è mai stata invisibile, perché per operare come mafia i mafiosi devono rendersi visibili. Si fanno riconoscere con i soggetti con i quali entrano in contatto>>.

<<Al momento sono censite tra Piemonte, Lombardia e Val d’Aosta, ben 45 locali di ‘ndrangheta, che si muovono in una zona grigia, dove la mafia si incontra con altri soggetti, tenuti insieme dal cemento del gioco a somma positiva, ossia ci guadagnano tutti, ma ci perde la collettività>>.

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