procura di Torino

Ritratta le violenze subite dal marito, ma il giudice lo condanna lo stesso

Arrestato due anni fa per le violenze sulla moglie, la donna aveva poi cambiato versione dei fatti: il Pm non le ha però creduto.

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Ha ritrattato in Tribunale cambiando la versione dei fatti, ossia di non aver mai subito abusi da parte del marito: una dinamica che capita in tre casi su dieci. Ma il giudice non le ha creduto e l'uomo è stato comunque condannato.

Ritratta le violenze subite dal marito

Litigi che spesso degeneravano. Il marito che prende la moglie a sberle e le strappa i capelli. Violenze subite dalla donna per diversi anni. E per quei maltrattamenti, che spesso avvenivano anche davanti ai figli, l'uomo era stato arrestato nel mese dicembre del 2020.

L’anno successivo però, nel marzo del 2021, durante l’incidente probatorio, la moglie ritratta tutto ridimensionando le accuse. E la coppia, di origine romena, torna a vivere insieme. 

Marito condannato

Ma l'altro giorno, nonostante la retromarcia della vittima, l'uomo è stato condannato a quattro anni di carcere. Ciò, come spiega La Repubblica, è stato reso possibile grazie all'intuizione del pm Davide Pretti, che ha chiesto di percorrere una strada giuridica alternativa, ossia acquisendo durante il dibattimento le dichiarazioni rese in indagine. Si tratta di una procedura penale di raro utilizzo applicabile quando vi siano elementi concreti per ritenere che il testimone sia stato sottoposto a minaccia affinchè non deponga o deponga il falso. Il sospetto del pm è nato proprio dal fatto che la coppia fosse tornata a vivere assieme.

Il 30% dei casi

La vicenda in questione, esaminata dalla Procura di Torino, segna quindi un importante precedente per le cause che si sviluppano in maniera simile: prima le accuse di violenza e poi le ritrattazioni sospette. Cosa che avviene nel 30% dei casi di questo tipo.

"A volte la riconciliazione è solo apparente e il maltrattante che prometteva di non farlo più, ripropone poi le condotte violente", spiega Anna Ronfani, vicepresidente di Telefono Rosa. "Di certo la lunghezza dei tempi processuali, l’attesa snervante di una definizione, può contribuire alle retromarce".

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