Tudor aveva riportato la Juventus in quella fossa in cui l’aveva trovata. Esonerato.
Con soli 500.000 euro
E dire che con 500.000 euro la Juventus avrebbe potuto ringraziare Igor Tudor per il disturbo, per aver fatto più di 1000 Km in auto per arrivare il più velocemente possibile da casa a Torino quando nel marzo scorso prese il posto di Thiago Motta e, invece, oggi, per l’ennesima (non si contano ormai più) decisione tecnico-sportiva sbagliata, il club bianconero si ritrova nel bel mezzo di una crisi da affrontare e un altro allenatore a libro paga.
Quando il tecnico croato al termine della prossima stagione, nel post gara a Venezia dove aveva conquistato il pass Champions a 15’ dalla fine con un rigore realizzato da Locatelli, ha messo con le spalle al muro la società – “Senza la conferma che sarà il tecnico anche per il futuro al Mondiale in America non ci vado” – Giuntoli prima, Comolli dopo avrebbero dovuto prendere la palla al balzo e accompagnarlo alla porta di ingresso.
Invece, in un club sempre più in confusione, con scelte dettate più dalla “pancia” che dall’algoritmo ecco la vecchia Signora a ritrovarsi, in meno di un anno, a due licenziamenti in tronco consecutivi (senza tralasciare l’allontanamento estivo del direttore generale arrivato da Napoli); altro che stile Juventus. Di quello stile e di quella società a cui si fa riferimento quando si pensa all’”avvocato”, al “fratello” o al “cugino” è rimasto praticamente più nulla. Il vuoto cosmico.
E l’algoritmo? Non ha funzionato
Anche perché cosa ci voleva a capire che Igor Tudor non fosse l’uomo su cui rifondare una squadra? Il suo curriculum, senza consumare troppa energia elettrica e interrogare i chip dell’intelligenza artificiale tanto cari al prossimo Amministratore Delegato della Juventus, bastava per arrivare a capire che il croato non è un tecnico da top club; sempre ammesso che la Juventus lo sia ancora. Spalato, Juventus (da vice di Pirlo), Verone, Marsiglia, Lazio e adesso Torino sponda bianconera: tutte avventure nate in corsa e deragliate prima del traguardo. Dunque, perché prolungare il contratto a Tudor fino al 2027 a 3 milioni di euro netti a stagione (pari a 5,55 milioni di euro lordi circa), con un milione di euro di bonus in aggiunta?
Per mancanza di idee? Di coraggio? Che si sommano a quelli a bilancio di Thiago Motta, disoccupato d’oro con 3,5 milioni di euro fino al 2027, salvo non trovi una panchina e rescinda il contratto.
Gli spazi e il tempo dalla fine della stagione scorsa per ponderare a chi affidare il gruppo c’erano tutti, eppure la dirigenza guidata da Comolli, voluto e portato alla Continasse direttamente da John Elkann, ha deciso di non decidere. Di affidarsi ancora a Tudor nonostante la diffidenza che aleggiava intorno a quella figura. Troppo poco affidarsi al concetto di “juventinità” per diventare l’allenatore capo. Troppo poco il carattere da duro per definirsi top-coach. Oltre a quelle caratteristiche, ne occorrono altre: saper allenare.
E’ vero, Igor Tudor aveva tirato fuori la squadra nella buca in cui Thiago Motta la stava seppellendo. Ma finita l’emergenza, finita l’adrenalina, ritornati alla normalità, la Juventus è ritornata dentro quella stessa fossa da cui era riemersa.
Intervento tempestivo
Di positivo, se c’è qualcosa che può essere definito tale in una situazione del genere, è che a differenza dell’anno scorso quando la reazione di Giuntoli fu tardiva, l’esonero del france arrivo solo il 25 marzo 2025, Comolli, per lo meno, si è mosso in tempo per riuscire a salvare il salvabile.
Troppo importanti i soldi della Champions, da cui in questo momento è fuori, per restare a guardare Tudor, in piena confusione tattica, continuare a gettare terra in quella buca in cui ha ricacciato se stesso e la squadra.
E adesso avanti il prossimo. Spalletti o Palladino? Questione di ore. Nel frattempo, ci pensa Massimo Brambilla della Next Gen contro l’Udinese in casa (mercoledì, ore 18.30).
Maurizio Vermiglio